I ricordi per Laura Lepetit sono fatti così, restano solo quelli che hanno segnato il nostro percorso, gli altri seppure importanti scompaiono. E a segnare il suo percorso più che gli eventi sembra siano state le persone. Le donne, le scrittrici, le amiche, le compagne di viaggio. Carla Lonzi, che negli anni settanta la introdusse al femminismo e al gruppo Rivolta femminile, e poi Sylvia Plath, Lou Salomé, Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Gertrude Stein, Doris Lessing, Alice Munro… Ma c’è anche il suo rapporto con la vecchiaia, le riflessioni sulla società contemporanea, la filosofia, un gatto. E soprattutto ci sono i libri. Fonda nel 1975 La Tartaruga, casa editrice tutta al femminile che dà voce negli anni non solo a scrittrici ancora sconosciute in Italia, ma soprattutto a lettrici che cercano libertà ed emancipazione in una società in pieno fermento culturale. Parlare di femminismo oggi sembra un po’ anacronistico, per questo forse la Lepetit si definisce “distratta”, per smorzare quella connotazione inspiegabilmente negativa che la parola “femminista” ha ereditato dalla storia. Ma a rendere speciale questa piccola autobiografia è proprio la mancanza di faziosità e partigianeria. Essere donne non significa rivendicare la propria diversità di genere, piuttosto sentirsi libere di esprimerla quella diversità e valorizzarla. E soprattutto dedicarsi con tutte le forze a non avere rimpianti.