“Cos’è la guerra? – si chiede la piccola Anastasia - I fischi delle granate, le esplosioni, il sangue, la morte delle persone. È quando stai nella cantina con la speranza che oggi non sia il tuo ultimo giorno, che potrai ancora vedere i tuoi parenti e amici, che la tua casa rimanga intatta”. Irina scrive poche righe, quanto basta per raccontare l’angoscia di ogni giorno. Quando è iniziata la guerra faceva la terza elementare e delle corse per scendere in cantina durante i bombardamenti, ricorda soprattutto le preoccupazioni per il nonno costretto a rimanere in casa, perché non poteva scendere per le scale. Qualunque sia il luogo in cui la guerra attecchisce, uno solo è lo scenario esistenziale che emerge: dolore e disperazione. Sentimenti e non solo parole, che si ripetono costantemente nei pensieri dei bambini del Donbass e che descrivono l’orrore che si mostra senza veli dinanzi agli occhi dei piccoli, inaccettabile conseguenza degli errori del mondo dei grandi. “La guerra è una malvagità – scrive Oleg – l’abbinamento delle parole guerra e uomo contraddice tutte le leggi umane del bene”. Ma la tristezza non è di casa nei cuori dei bambini, che non disperano, la guerra finirà e la parola che più volte risuona, come un auspicio pronunciato in coro, è “pace”. Sognano di tornare a giocare all’aperto, di andare a scuola. “Abbiamo imparato ad ascoltare il silenzio e ad aspettare la pace” è la rassegnata considerazione di Suprun. Il vissuto di angoscia e di speranza trasferito sul foglio ha i toni cupi dei missili che piovono dal cielo e dei cannoni dei carri armati puntati contro le abitazioni. Ma il grigiore non predomina sui colori vivaci delle case minacciate dalle granate, sull’allegria dei paesaggi sui quali spesso trionfa l’arcobaleno.