Antonella Serafini, finora conosciuta in qualità di storica e critica d'arte, è all'esordio con la narrativa. Tra mostre di pittura, scultura, fotografia in Italia e all'estero, tra saggi d'arte e musei, l'abbiamo incontrata per conoscere qualcosa di più sulla scelta di approdare al mondo del giallo.
Quali i tuoi modelli letterari di genere?
Non ho un modello letterario di riferimento, mi piace molto leggere e leggo tutti i generi, caso mai ci sono dei libri e degli autori che hanno contribuito alla mia formazione di persona (e dunque anche di scrittrice)… Jack London, Kazantzakis, Hemingway, Yourcenar, Kundera, Marai, Asimov, e naturalmente Simenon, Aghatha Christie, Montalban, Camilleri.
Il tappeto di tigre è un titolo insolito, da dove nasce?
Da una frase pronunciata da un personaggio del romanzo, il notaio Halt, e in realtà è assai attinente all’argomento del giallo. La vittima ufficiale è l’architetto Adriano Libe ma in realtà le vittime sono due: Libe, che ha favorito speculazioni edilizie di ogni tipo, ma anche la città violata e umiliata è una vittima. Si indaga solo sul primo naturalmente, ma sullo sfondo emerge di prepotenza la seconda. Ti cito quella parte del dialogo che si svolge fra Halt e il maresciallo Fanfani che poi ha dato origine al titolo:
– Non sia ingenuo maresciallo. Lei con il mestiere che fa conosce come e meglio di me la natura degli uomini e sa benissimo che quanto le sto dicendo ha una ragion d’essere. Non le è mai venuto il dubbio se sia davvero legittimo mettere tutti quelli che la legge chiama delitti sullo stesso piano?
– Lei crede che ci siano uomini che meritino di essere soppressi?
– La specie umana si è arrogata il diritto di uccidere impunemente esseri viventi appartenenti ad altre specie. Se si attarda a considerare l’intima essenza di una tigre, non crede che sia un delitto ucciderla per farne un tappeto? E perché se io uccido un uomo che sta per sparare ad una tigre vengo processato?
Halt si volse lentamente verso l’investigatore, cercò il suo sguardo e disse:
– Da dove giunge la certezza che uccidere un uomo come Libe sia un delitto? E se fosse stato Caprozzo ad ucciderlo? Non crede che Caprozzo meriterebbe di finire in carcere? – rispose calmo Fanfani.
– Caprozzo meriterebbe di finire in carcere perché per anni ha pagato Libe, perché lo ha pagato per poter costruire orrende palazzine, dovreste metterlo in carcere perché ha fatto scempio del bello. Perché oltraggiare la bellezza non è reato maresciallo? E invece uccidere chi lo permette lo è?
La voce di Halt continuava ad essere pacata, se ad osservarlo vi fosse stato qualcuno che non parlava la lingua italiana avrebbe pensato che i due uomini vagabondi sulla banchina parlassero di rotte e di correnti, o della direzione dei venti, ambedue con lo sguardo dritto nell’orizzonte, quasi immobili, con l’aria un po’ assente.
– Gli esseri umani non sono tutti uguali e gli esseri inferiori, che sono la maggioranza, finiscono per saccheggiare la vita degli altri, la deturpano con la loro pavida debolezza, i loro banali appetiti, la loro incapacità di migliorarsi, con il loro erigere la meschinità a norma devastano la bellezza, la passione, la vitalità. E la società che hanno costruito è tale che noi per liberarci di loro dobbiamo mettere in gioco l’unico bene prezioso che ci è consentito di avere: la libertà.
Fanfani si voltò lentamente verso il notaio, lentamente lo osservò da capo a piedi. Halt, come se fosse dal sarto, lasciò che Fanfani lo misurasse e lo soppesasse, poi senza sorridere ma con una leggera punta di ironia nella voce disse:
– Ho settantasette anni, sono alto uno e ottantacinque, fino a pochi anni fa frequentavo ancora la palestra… in teoria avrei avuto la forza di piantare un tagliacarte nel cuore inerte di Libe.
Quanto di vero/verosimile c'è nella storia che hai raccontato?
Di vero purtroppo c’è il destino subito da molte città italiane, violate, oggetto di speculazioni edilizie di ogni genere al solo scopo di arricchire qualcuno. La distruzione sistematica del bellezza e dunque dell’ambiente in cui viviamo. Perché l’ambiente non è solo quello naturale fatto di fiumi, monti, mari e boschi ma anche quello delle strade e dei quartieri dove viviamo. La mala architettura è come il fumo, fa male, soprattutto quella passiva. Vivere in quartieri brutti, abitare in case fatte male significa subire una violenza. Con questo libro cerco di dimostrare che non è ineluttabile, ma che ci sono precise responsabilità.
Cosa ti proponi con questo libro?
Da un lato di appassionare, ossia l’obiettivo di qualunque scrittore credo: che il suo lettore si avventuri nel libro e vi si immerga. Dall’altro quello di rivelare alcuni banali misteri, ossia il basso prezzo a cui troppo spesso viene svenduta la bellezza e il potere che ognuno di noi potrebbe esercitare per impedire lo scempio dei nostri paesaggi, naturali e urbani.